Antidepressivi
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Considerazioni generali
La depressione ed i sintomi depressivi sono tra i più frequenti disturbi neuropsichiatrici riscontrabili nella demenza, interessando verosimilmente più del 50% dei pazienti durante il decorso della stessa malattia.[Starkstein SE, Jorge R, Mizrahi R, Robinson RG (2005) The construct of minor and major depression in Alzheimer’s disease. Am J Psychiatry 162, 2086-2093]. Il loro impatto nella storia e nell’evoluzione della malattia e del relativo percorso assistenziale è molto importante, in quanto sono in grado di ridurre la qualità di vita del paziente e dei care-givers, influenzare negativamente il profilo cognitivo e funzionale e aumentare il rischio di istituzionalizzazione e di morte dei pazienti.[Gaugler JE, Yu F, Krichbaum K, Wyman JF (2009) Predictors of nursing home admission for persons with dementia. Med Care 47, 191-198. Burns A, Lewis G, Jacoby R, Levy R (1991) Factors affecting survival in Alzheimer’s disease. Psychol Med 21, 363-370. Suh GH, Kil Yeon B, Shah A, Lee JY (2005) Mortality in Alzheimer’s disease: A comparative prospective Korean study in the community and nursing homes. Int J Geriatr Psychiatry 20, 26-34].
Molti pazienti con lievi sintomi di depressione migliorano senza un trattamento specifico, probabilmente perché i servizi di cui usufruiscono sono in parte indirizzati ad affrontare e risolvere situazioni predisponenti alla depressione come la solitudine, la mancanza di stimoli socio-assistenziali e culturali o, semplicemente, l’essere assistito da un care-giver a sua volta depresso.
I rapporti tra demenza e depressione sono reciproci, in quanto la depressione può essere considerato un fattore di rischio per la demenza (v. capitolo su prevenzione della demenza), ma essere nel contempo conseguenza dello stesso processo dementigeno.
Il trattamento della depressione e dei suoi sintomi nei pazienti con demenza è eterogeneo e deve prevedere una serie successiva di verifiche ed interventi come schematizzato nella figura sottostante (da The Lancet Commissions). Nell’inquadramento iniziale si deve tener conto se siano presenti uno stato confusionale acuto di tipo “ipocinetico”, una condizione patologica in grado di provocare dolore, deficit sensoriali ed isolamento sociale: tutti questi fattori andranno ovviamente rimossi e contemporaneamente si dovrà rivalutare la gravità del disturbo depressivo. Qualora questo si riconfermasse di grado elevato, si dovrà prendere in considerazione la terapia farmacologica la cui efficacia sarà rivalutata dopo 4-6 settimane e continuata per almeno 6 mesi in caso di efficacia, considerato che la terapia psicologica (terapie cognitivo-comportamentali, terapia interpersonale o “counselling”) ha dimostrato solo lieve efficacia e con debole evidenza statistica nella riduzione dei sintomi depressivi nei pazienti con demenza [Banerjee S, Hellier J, Dewey M, et al. Sertraline or mirtazapine for depression in dementia (HTA-SADD): a randomised, multicentre, double-blind, placebo-controlled trial. Lancet 2011; 378: 403–11], contribuendo a ridurre la carica d’ansia valutata dal medico, ma non quella accusata dai pazienti e dai caregiver [Orgeta V, Qazi A, Spector A, Orrell M. Psychological treatments for depression and anxiety in dementia and mild cognitive impairment: systematic review and meta-analysis. Br J Psychiatry 2015; 207: 293–98].
La depressione che caratterizza il decorso della demenza probabilmente differisce in termini biologici, psicologici e sociali rispetto a quella che si riscontra nei pazienti senza deterioramento cognitivo. Da un punto di vista pragmatico si potrebbero quindi distinguere tre categorie di pazienti con sintomi depressivi e demenza: 1) pazienti con sintomi di depressione secondari, conseguenti allo stesso deficit cognitivo; 2) pazienti in cui i sintomi sono espressione dello stesso processo neurodegenerativo; 3) pazienti con demenza e con storia precedente di depressione, identificabile come disturbo ricorrente del tono dell’umore e che manifestano un vero episodio depressivo durante la malattia dementigena.
I farmaci antidepressivi
Gli antidepressivi sono considerati la prima opzione terapeutica per i pazienti con demenza e sintomi depressivi o vera e propria sindrome depressiva, anche se l’evidenza scientifica di una loro reale efficacia non appare al momento attuale definitiva [Nelson JC, Devanand DP. A systematic review and meta-analysis of placebo-controlled antidepressant studies in people with depression and dementia. J Am Geriatr Soc 2011; 59: 577–85]. E’ probabile che i pazienti con demenza e depressione presentino alterazioni neuro-trasmettitoriali e recettoriali diverse rispetto a quelle riscontrabili nei soggetti con depressione senza demenza e questa differenza potrebbe spiegare la minore risposta nel controllo dei sintomi [- Zubenko GS, Zubenko WN, McPherson S, et al. A collaborative study of the emergence and clinical features of the major depressive syndrome of Alzheimer’s disease. Am J Psychiatry 2003; 160: 857–66. – Farina N, Morrell L, Banerjee S. What is the therapeutic value of antidepressants in dementia? A narrative review. Int J Geriatr Psychiatry 2017; 32: 32–49.]; comunque, nonostante la mancanza di sicure evidenze scientifiche, è stato stabilito che i pazienti di età geriatrica affetti da demenza abbiano una probabilità tre volte maggiore di ricevere una prescrizione di antidepressivi rispetto ai coetanei senza demenza [Laitinen ML, Lönnroos E, Bell JS, Lavikainen P et al. Use of antidepressants among community-dwelling persons with Alzheimer’s disease: a nationwide register-based study. Int Psychogeriatr 2015; 27: 669–72].
La recentissima metanalisi di Cochrane [Dudas R, Malouf R, McCleery J, Dening T. Antidepressants for treating depression in dementia. Cochrane Database Syst Rev. 2018 Aug 31;8:CD003944. doi: 10.1002/14651858.CD003944.pub2.] che ha analizzato gli esiti ottenuti su 1592 pazienti inseriti in dieci studi randomizzati controllati verso placebo, non ha messo in evidenza differenze significative fra placebo e farmaci antidepressivi nel miglioramento dei sintomi valutati con specifiche scale dopo 6 e 13 settimane di trattamento e tale differenza non significativa viene mantenuta anche dopo 6 e 9 mesi di terapia, per cui, al netto dell’effetto notevolmente positivo inizialmente notato dello studio DIADS condotto con sertralina [Drye LT, Martin BK, Frangakis CE, et al, for the DIADS-2 Research Group. Do treatment effects vary among differing baseline depression criteria in depression in Alzheimer’s disease study ± 2 (DIADS-2)? Int J Geriatr Psychiatry 2011; 26: 573–83.], si può al momento confermare che non vi sia sicura evidenza dell’efficacia dei farmaci antidepressivi nel trattamento della depressione e dei sintomi correlati nei soggetti con demenza. Tali risultati sono stati evidenziati anche per molecole diverse dagli inibitori selettivi del trasportatore della serotonina (SSRI), come mirtazapina (NaSSA: agonista noradrenergico e specifico serotoninergico) che non ha dimostrato maggiore efficacia rispetto a sertralina e placebo nel ridurre i sintomi depressivi nei pazienti con deterioramento cognitivo [Banerjee S, Hellier J, Dewey M, et al. Sertraline or mirtazapine for depression in dementia (HTA-SADD): a randomised, multicentre, double-blind, placebo-controlled trial. Lancet 2011; 378: 403–11]. Anche per gli antidepressivi triciclici (amitriptilina, clomipramina, imipramina, nortriptilina), non è stato possibile evidenziare un sicuro effetto positivo nel controllo dei sintomi depressivi in pazienti con demenza; gli studi presenti in letteratura con questo tipo di farmaci, i cui numerosi effetti collaterali ne hanno limitato fortemente l’utilizzo a favore dei più maneggevoli SSRI, non raggiungono la qualità sufficiente per poter essere inseriti in reviews sistematiche e gli outcomes clinici proposti non sono ottimali per i pazienti affetti da demenza [Farina N, Morrell L, Banerjee S. What is the therapeutic value of antidepressants in dementia? A narrative review. Int J Geriatr Psychiatry 2017; 32: 32–49].
I dati a disposizione non hanno evidenziato infine un effetto favorevole degli antidepressivi nel migliorare il profilo cognitivo (MMSE) e funzionale (ADL) nei pazienti con demenza e sintomatologia depressiva, come confermato dalla metanalisi Cochrane già citata che riassume gli studi provenienti da 6 studi per un totale di 194 pazienti.
Anche per la categoria di pazienti con demenza e storia di precedenti episodi depressivi e che quindi avrebbero potuto in linea teorica più probabilmente beneficiare della terapia antidepressiva, i dati di efficacia clinica sono molto ridotti per numero e qualità degli studi. Se la loro risposta alla terapia potrebbe essere teoricamente positiva e simile a quella ottenibile nella popolazione con storia di depressione, lo stesso processo neuro-degenerativo potrebbe indurre una riduzione nell’efficacia dei farmaci.
La tabella sottostante riporta le classi di farmaci con le rispettive molecole e i meccanismi d’azione con le caratteristiche dei disturbi correlati alla depressione che potrebbero trovare un’appropriata risposta farmacologica. Tali schematismi possono essere applicati nella popolazione esente da alterazioni neuro-degenerative, ma non sono sicuramente trasferibili ai pazienti con demenza e sono quindi proponibili semplicemente come guida indicativa per i pazienti con deterioramento cognitivo. Per esempio, il paziente che soffre di depressione caratterizzata da anedonia potrebbe beneficiare maggiormente di molecole che bloccano i trasportatori di noradrenalina e dopamina poiché l’effetto del blocco è attivante, mentre il paziente con depressione a prevalenza di sintomi ansiosi e insonnia potrebbe beneficiare maggiormente di molecole a blocco colinergico o 5HT2C.
In tale contesto l’impiego di antidepressivi ad azione “multimodale” come vortioxetina (inibitore del trasportatore della serotonina e agonista del recettore presinaptico 5-HT1A con diminuzione del feed-back negativo sul rilascio di 5-HT e ulteriore incremento della concentrazione del neurotrasmettitore) potrebbe essere razionale in quanto è stato clinicamente dimostrato come questo farmaco sia in grado di migliorare le prestazioni cognitive (funzioni esecutive, attenzione, velocità di elaborazione, apprendimento e memoria misurate al Digital Symbol Substitution Test – DSST e al Rey Auditory Verbal Learning Test – RAVLT) nei pazienti con disturbo depressivo maggiore, indipendentemente dal miglioramento della sintomatologia depressiva [McIntyre RS, Lophaven S, Olsen CK A randomized, double blind, placebo-controlled study of vortioxetine on cognitive function in depressed adults. Int J Neuropsychopharmacol. 2014; 17(10): 1557-67. Mahableshwarkar AR, Zajecka J, Jacobson W et al. A randomized, placebo controlled, active reference, double blind, flexible dose study of the efficacy of vortioxetine on cognitive function in major depressive disorder. Neuropsychopharmacology 2016; 41(12): 2961. Frampton JE Vortioxetine: a review in cognitive dysfunction in depression. Drugs 2016; 76(17): 1675-82.].
Nel processo di decisione clinica che porterà alla prescrizione di antidepressivi in pazienti con demenza, un ruolo preminente deve avere l’attenta valutazione del rischio di effetti collaterali, più elevato in pazienti anziani con comorbidità e polifarmacoterapia. La metanalisi di Cochrane già citata [Dudas R, Malouf R, McCleery J, Dening T. Antidepressants for treating depression in dementia. Cochrane Database Syst Rev. 2018 Aug 31;8:CD003944. doi: 10.1002/14651858.CD003944.pub2.] evidenzia come, generalmente, i pazienti in terapia con farmaci antidepressivi per un breve periodo di 6-13 settimane abbiano maggiore probabilità di interrompere il trattamento rispetto a coloro che assumono placebo (OR 1.51, 95% CI 1.07-2.14; 836 partecipanti; 9 studi) ed il numero di pazienti che accusano almeno un evento avverso è significativamente inferiore nei pazienti in terapia con placebo (antidepressivi: 49.2%, placebo: 38.4%; OR 1.55, 95% CI 1.21- 1.98, 1073 partecipanti; 3 studi).
Il blocco dei recettori colinergici, istaminici e di canali ionici cardiaci da parte degli antidepressivi triciclici rende ragione degli effetti collaterali più frequenti e pericolosi nei pazienti con demenza, vale a dire ritenzione urinaria, stipsi, secchezza delle fauci, tachicardia e ipotensione ortostatica, deficit di attenzione e concentrazione, delirium.
Gli SSRI e gli SNRI possono causare disturbi gastrointestinali (nausea, vomito, diarrea sono in più frequenti effetti collaterali accusati dai pazienti in terapia con questi farmaci), eccessive attivazione/irrequietezza, alterazione della funzione piastrinica con aumentato rischio di eventi emorragici (specie se impiegati in concomitanza con antiaggreganti e anticoagulanti, anche in sedi non gastroenteriche) [Gahr M, Zeiss R, Lang D, et al. Association between haemorrhages and treatment with selective and non-selective serotonergic antidepressants: possible implications of quantitative signal detection. Psychiatry Res 2015; 229, 257-263], iponatriemia per sindrome da inappropriata increzione di ADH [De Picker L, Van Den Eede F, Dumont G, Moorkens G, Sabbe BG Antidepressants and the risk of hyponatremia: a class-by-class review of literature. Psychosomatics 2014: 55, 536-547], prolungamento del QTc per citalopram, mentre fluoxetina, sertralina e paroxetina non hanno dimostrato un effetto sulla ripolarizzazione ventricolare [Funk KA, Bostwick JR A comparison of the risk of QT prolongation among SSRIs. Ann Pharmacother 2013; 47(10): 1330-41].
Un’ultima considerazione deve essere riservata alle possibili conseguenze dell’interruzione del trattamento con antidepressivi. Non è infatti noto per quanto tempo debba essere prolungata questa terapia; in letteratura è presente un unico studio clinico randomizzato controllato che ha valutato le conseguenze dell’interruzione della terapia antidepressiva in soggetti con demenza e sintomi depressivi ospiti di Strutture Protette. Tale studio ha evidenziato come l’interruzione della terapia aumenti i sintomi depressivi in tali pazienti, per cui siamo in presenza di un vero e proprio dilemma paradossale, vale a dire se continuare una terapia che dai dati della letteratura attualmente a disposizione, non sia sicuramente efficace nel controllo di sintomi e la cui sospensione, nel contempo, possa provocare un peggioramento degli stessi [Bergh S, Selbæk G, Engedal K. Discontinuation of antidepressants in people with dementia and neuropsychiatric symptoms (DESEP study): double blind, randomised, parallel group, placebo controlled trial. BMJ 2012; 344: e1566].
Sebbene gli studi controllati siano relativamente pochi è emerso che l’uso di alcune molecole con effetto antidepressivo (principalmente SSRI e trazodone) possono essere utili nel controllare l’agitazione, l’ansia e altri disturbi del comportamento in soggetti con demenza. (Seitz DP, Adunuri N, Gill SS, Gruneir A, Herrmann N, Rochon P. Antidepressants for agitation and psychosis in dementia. Cochrane Database of Systematic Reviews 2011, Issue 2. Art. No.: CD008191. DOI: 10.1002/14651858.CD008191.pub2.).
Conclusioni
L’impiego degli antidepressivi in pazienti con demenza e sintomi di depressione, anche se molto diffuso, non è supportato da convincenti evidenze di efficacia, specie per il trattamento che superi le 12 settimane. La frequenza degli effetti collaterali, specie per i triciclici, e l’incertezza circa la loro effettiva efficacia, suggerisce che la loro somministrazione dovrebbe essere riservata ai pazienti con demenza e precedente storia di depressione, a meno che interventi di tipo psico-sociale nel frattempo non abbiano sortito un effetto positivo. La decisione se sottoporre un paziente con demenza a terapia con antidepressivi dovrà essere quindi essere strettamente individuale, basata sulla valutazione del rapporto rischi/benefici nel singolo.
Messaggi principali
- I sintomi depressivi sono tra i disturbi neuropsichiatrici più frequenti nella demenza (più del 50% dei casi) e il loro impatto riduce la qualità di vita dei pazienti e dei loro caregiver.
- La depressione può rappresentare un fattore di rischio per la demenza ma essere anche nel contempo una conseguenza dello stesso processo neurodegenerativo.
- I farmaci antidepressivi sono considerati la prima opzione terapeutica per pazienti con demenza e sintomi depressivi. Tuttavia una recente metanalisi di Cochrane (2018) dimostra come non ci sia al momento una sicura evidenza di efficacia dei farmaci antidepressivi nel trattamento della depressione nei soggetti con demenza, né un effetto favorevole di questi nel migliorare il profilo cognitivo (MMSE) e funzionale (ADL) degli stessi. Questi risultati fanno riferimento all’utilizzo non solo degli SSRI ma riguarda anche l’uso di NaSSA e antidepressivi triciclici.
- L’uso di alcuni tipi di antidepressivi può essere utile nel controllare alcuni disturbi del comportamento (ansia e agitazione).
- Nel processo decisionale per la prescrizione della terapia antidepressiva nei pazienti con demenza un ruolo fondamentale è dato all’attenta valutazione del rischio di effetti collaterali che è più elevato in pazienti anziani con comorbilità e polifarmacoterapia.
Data l’ampia eterogeneità delle forme cliniche di demenza esistenti e dei loro specifici aspetti cognitivi e comportamentali, un’attenta caratterizzazione della patologia dovrebbe essere alla base di approccio farmacologico razionale. L’insieme di tutte queste considerazioni suggerisce la necessità di una scelta terapeutica strettamente individuale che si basi sulla valutazione del rapporto rischio/beneficio per ciascun paziente.