Il trattamento con antipsicotici
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Il trattamento con antipsicotici
Considerazioni generali
Nella storia naturale dei pazienti con demenza i disturbi del comportamento occupano una parte fondamentale a causa del netto peggioramento del profilo funzionale con conseguente incremento del peso assistenziale. I farmaci antipsicotici sono frequentemente utilizzati per il trattamento di questi disturbi sebbene l’evidenza clinica di efficacia sia modesta e il loro uso comporti un rischio di mortalità e di morbilità aumentato [a0505481] . Troppo spesso, una volta iniziati, gli antipsicotici vengono continuati per mesi o per anni anche dopo la riduzione dei sintomi che originariamente ne avevano motivato l’uso, mentre sono presenti evidenze sperimentali che in una maggioranza di casi la terapia potrebbe essere sospesa senza ricadute sugli aspetti comportamentali. e del rischio connesso all’impiego di farmaci antipsicotici in una categoria di pazienti per i quali gli stessi farmaci non erano stati originariamente proposti e testati in studi randomizzati e controllati.
Oltre l’80% dei pazienti con demenza sviluppa almeno un disturbo comportamentale lungo il decorso della malattia [19], e spesso nello stesso individuo coesistono più disturbi che pragmaticamente possono essere raggruppati in “clusters”, cui dovrebbero corrispondere specifici trattamenti di tipo non farmacologico (cognitivo-comportamentale, supporto psicologico per i caregiver) e farmacologico. I disturbi del comportamento vengono solitamente inseriti nella fase intermedia della storia naturale della malattia di Alzheimer, ma si possono presentare in ogni momento della malattia,con gravità e frequenza variabili da individuo ad individuo; anche la tipologia varia a seconda della sottostante causa di demenza, come evidente per le allucinazioni visive, tipiche della demenza a corpi di Lewy. Tra i pazienti con un disturbo comportamentale rilevabile al “baseline” con il NeuroPsychiatric Inventory (NPI), ben l’81% continueranno a manifestare un disturbo dopo 18 mesi di follow-up, con differenze significative variabili, ma che vedono apatia ed iperattività particolarmente persistenti [20].
Lo European Alzheimer’s Disease Consortium ha identificato quattro sub-sindromi neuropsichiatriche: psicosi (deliri, più spesso semplici e non bizzarri come il delirio di furto, di abbandono, di rovina, di infedeltà; allucinazioni, specialmente visive e misidentificazioni), disordini della sfera affettiva (depressione ed ansia), apatia ed iperattività (agitazione, disinibizione, irritabilità e comportamenti motori aberranti) [21]. I disturbi comportamentali (psicosi, depressione, agitazione/aggressività) accelerano il declino cognitivo e funzionale e aumentano il ricorso all’istituzionalizzazione e se si registrano elevati livelli di stress e carica d’ansia nel paziente, questi ovviamente si riflettono anche sul nucleo familiare con ripercussioni negative sull’incidenza di malattie psichiche ed organiche e sulla mortalità [22].
In tale scenario è indispensabile tracciare principi di corretto inquadramento terapeutico dei disturbi comportamentali (clusters psicosi ed agitazione), descritto secondo passaggi successivi negli schemi sottostanti, riportati nel 2017 da “The Lancet Commissions”.
Dopo aver esclusa la presenza di cause potenzialmente reversibili dei disturbi del comportamento (delirium intercorrente, deficit sensoriali, dolore, precedenti psicotici), aver verificato lo stress del paziente e dei caregiver e la fattibilità di misure terapeutiche ed assistenziali alternative, si potrà ricorrere ai farmaci antipsicotici, la cui scelta dovrà essere basata sulla previsione di efficacia (in base al cluster prevalente e alla gravità dei sintomi) e di tollerabilità (in relazione ad età e comorbilità, soprattutto parkinsonismo). Per esempio, un farmaco antipsicotico dovrebbe essere prescritto nel caso si verificassero ideazioni deliranti persistenti molto stressanti per il paziente ed i familiari, come la convinzione di essere derubato, tradito o avvelenato; allo stesso modo, nei pazienti con irrequietezza, vocalizzi continui e disturbanti e aggressività verbale e/o fisica, la terapia farmacologica dovrebbe essere consigliata dopo aver attuato, senza successo, interventi socio-assistenziali (miglioramento del processo comunicativo all’interno della famiglia e fra gli operatori addetti all’assistenza ed il paziente, terapia occupazionale, interazioni sociali, musico-terapia). A tal proposito va precisato che tutti gli interventi strutturati sulla centralità della persona e sulle abilità comunicative si sono dimostrati efficaci nel migliorare l’agitazione sia nell’immediato che nel lungo periodo (6 mesi), al contrario di altre strategie di intervento i cui risultati sono apparsi assai meno indicativi, come dimostrato nella revisione sistematica di Livingston [23].
E’ comunque da usare fin dall’inizio una particolare cautela nell’impiego dei farmaci antipsicotici a causa della possibile comparsa di importanti effetti collaterali specie negli anziani, come eccessiva sedazione e sintomi extrapiramidali. Sin dal 2002 si sono succedute numerose segnalazioni circa l’aumentata incidenza di eventi cerebrovascolari e mortalità [24, 25, 26,27], nei pazienti con demenza e disturbi comportamentali in terapia con antipsicotici rispetto ai pazienti che assumevano altri farmaci psicotropi, ad eccezione degli anticonvulsivanti [27]. La FDA già nel 2005 pubblicò un “black-box warning”, inizialmente riguardante gli antipsicotici “atipici” (olanzapina, quetiapina, risperidone, aripiprazolo) e quindi anche i cosiddetti “tipici” o convenzionali (promazina, clorpromazina, aloperidolo), in seguito al quale altri organi regolatori (EMEA e AIFA) hanno decretato come il trattamento dei disturbi comportamentali associati a demenza non sia un’indicazione terapeutica approvata per i farmaci antipsicotici, i quali potranno quindi essere prescritti solo rispettando un programma di farmacovigilanza attiva effettuata attraverso i centri specialistici autorizzati, identificati dalle Regioni, con procedura di rimborsabilità da parte del SSN ed in regime di distribuzione diretta. Le aziende sanitarie dovranno adottare un modello unico di scheda per la prescrizione di inizio trattamento e una serie di schede di monitoraggio per ogni paziente con diagnosi di demenza e in trattamento con antipsicotici.
Come indicato in precedenza, alcuni studi di tipo retrospettivo [24] hanno messo in evidenza come il rischio di mortalità ed il NNH (number needed to harm, numero di pazienti da sottoporre ad un trattamento associabile ad un evento morte), sia più elevato fra i pazienti in terapia con aloperidolo (rispettivamente 3.8% e 26 per mortalità e NNH), risperidone (3.7% e 27), olanzapina 2.5% e 40), quetiapina (2.0% e 50), rispetto ai controlli; analoghe considerazioni possono essere fatte per il rischio di mortalità dei pazienti in che assumono terapia cronica con antipsicotici atipici e tipici/convenzionali rispetto a coloro che assumono antidepressivi. Il rischio globale di mortalità sembra essere inoltre essere strettamente correlato alla dose somministrata [24]. Tuttavia è stato anche riportato come l’impiego di antipsicotici in pazienti anziani con demenza non sia di per sé correlabile ad outcome negativi come istituzionalizzazione e morte, ma lo diventi solo dopo correzione per la gravità dei sintomi psichiatrici (psicosi ed agitazione)[28]. Una recente metanalisi comprendente 68 studi per un totale di 4.812.370 pazienti, ha confermato l’aumento della mortalità globale per i pazienti in terapia per varie condizioni patologiche con antipsicotici convenzionali-tipici ed atipici (RR 1.50 e 1.53 rispettivamente), più elevata per i soggetti in terapia in atto con antipsicotici tipici rispetto agli atipici, anche se l’associazione fra impiego corrente di antipsicotici atipici e mortalità è al limite della significatività statistica, con un rischio aumentato per i pazienti con età superiore a 65 anni e malattia di Parkinson, ma non in quelli con demenza, delirium e stroke[29]. Lo scenario descritto impone comunque una particolare attenzione nell’utilizzo pratico di questi farmaci, specie ovviamente nei soggetti con demenza e comorbilità. I punti seguenti esplicitano le cautele nella pratica prescrittiva e nel follow-up di tali pazienti.
Utilizzo degli antipsicotici
Concentrarsi su sintomi guida
Gli antipsicotici sono raccomandati solo per ridurre sintomi di natura psicotica che non hanno risposto a trattamenti psicosociali e che rappresentano per gravità delle manifestazioni un rischio significativo per il paziente. In questi casi il medico deve concentrare la propria attenzione su alcuni sintomi specifici che potranno essere quantificati e quindi guidare le successive scelte terapeutiche. Gli antipsicotici vanno riservati a soggetti che presentino allucinazioni, deliri, agitazione grave e aggressività. In caso contrario, dove siano rilevati sintomi come wandering, affaccendamento, oppositività alle cure etc gli antipsicotici non sono indicati ed è improbabile abbiamo efficacia. In caso di comorbilità psichiatrica (ad esempio una depressione maggiore precedente) è importante un trattamento farmacologico specifico.
Scelta dell’antipsicotico
Ogni antipsicotico presenta specifiche caratteristiche che andranno considerate per decidere quale sia il più appropriato per un determinato paziente. Tra i fattori da valutare c’è anche la tipologia di demenza e lo stato generale di salute del paziente. Prima di definire quale antipsicotico prescrivere bisogna tener conto che: a) il risperidone è l’unico antipsicotico di seconda generazione che in Italia sia autorizzato per il “trattamento a breve termine dell’aggressività persistente in pazienti con AD di grado da moderato a lieve che non risponde ad approcci non farmacologici e quando esiste un rischio di nuocere a se stesso e agli altri” b) l’uso di altri antipsicotici di seconda generazione (quali quetiapina, aripiprazolo e olanzapina) è off-label con le limitazioni conseguenti. c) l’eventuale utilità di farmaci alternativi agli antipsicotici (citalopram, trazodone, memantina, inibitori dell’acetilcolinesterasi) può essere preso in considerazione e accuratamente valutato caso per caso.
Consenso informato
Se si decide di iniziare un trattamento con un antipsicotico è essenziale condividere le informazioni circa i rischi e i benefici della terapia con il paziente e il caregiver e ottenere un consenso scritto al trattamento. Quando una persona non sia più nelle condizioni di fornire un consenso informato deve essere nominato un legale rappresentante (amministratore di sostegno o tutore) per poter decidere al suo posto.
Monitoraggio
Gli eventuali effetti collaterali e l’efficacia della terapia dovrà essere periodicamente rivalutata. E’ utile definire il tipo e la gravità dei disturbi comportamentali utilizzando uno strumento appropriato (ad esempio il Neuropsychiatric Inventory, NPI) in modo da documentare l’effetto sui sintomi guida. L’uso di questi farmaci prevede un graduale incremento del dosaggio iniziando con dosaggi bassi e successivo lento aggiustamento a crescere. I dosaggi raccomandati per soggetti anziani con demenza sono molto inferiori ai dosaggi indicati nei soggetti con disturbi psichiatrici. Dato che spesso i sintomi comportamentali possono essere fluttuanti e il quadro clinico evolve nel tempo si raccomanda di utilizzare queste molecole per un periodo limitato valutando se sia possibile sospenderli dopo alcuni mesi. L’uso di formulazioni iniettive long acting è sconsigliato. Un’eventuale sospensione della terapia con antipsicotici, dovrà essere presa in considerazione dopo 12 settimane di assunzione continuativa, anche in presenza di comprovato effetto positivo nel controllo dei sintomi disturbanti Si deve comunque considerare come alcuni studi abbiano evidenziato come i pazienti con disturbo comportamentale severo abbiano manifestato i maggiori benefici nella continuazione della terapia antipsicotica [30] e come l’interruzione della stessa terapia abbia determinato la maggiore percentuale di recidive nei pazienti trattati con placebo (60%) rispetto a quelli che hanno continuato ad essere trattati con il farmaco attivo (risperidone, 33%) [31 ]
Situazioni di emergenza
In una situazione acuta, quando la sicurezza del paziente o di altri sia in pericolo, per il principio di stato di necessità, al medico è consentito di agire nell’interesse del paziente che non è nelle condizioni di fornire un consenso informato valido. In tali circostanze, il trattamento deve essere prontamente iniziato e finalizzato a ridurre al minimo il danno immediato. Il consenso informato potrà essere ottenuto non appena possibile se la terapia dovesse essere continuata.