Nutraceutici ed integratori

Particolari stili di vita e regimi dietetici hanno dimostrato avere effetti positivi sull’invecchiamento e in particolare sul declino cognitivo correlato all’età. Una dieta ricca in gruppi di nutrienti specifici (pesce, frutta, vegetali), che genericamente viene definita “dieta Mediterranea”, può ridurre l’incidenza e la prevalenza di una serie di patologie come la demenza, le malattie cardiovascolari, il diabete e le neoplasie.

Data la necessità di individuare strategie di prevenzione e cura e la scarsità di trattamenti efficaci sulla progressione dei processi neurodegenerativi è aumentato l’interesse verso i composti che appartengono alla classe delle sostanze naturali di origine dietetica che possono esercitare effetti positivi nella malattia di Alzheimer e nelle patologie neurodegenerative in generale. I micronutrienti e vitamine di cui questi composti sono particolarmente ricchi sono stati definiti da De Felice nel 1989 come nutraceutici perché di natura nutrizionale, ma con effetti positivi sulla salute quali composti farmaceutici. Le proposte commerciali di molecole singole e in associazione sono numerose e spesso possono disorientare. Pur non mancando diverse evidenze sperimentali sugli effetti positivi in vitro o nei modelli animali l’uso terapeutico nell’uomo è giustificato solo da adeguate evidenze cliniche.

ω-3 PUFA

Gli acidi Grassi Omega-3 (ω-3 PUFA) provenienti da vegetali o dal pesce sono comunemente considerati come una possibilità non farmacologica per migliorare la funzione circolatoria, lo stato infiammatorio e la funzione cerebrale in generale. Tali convinzioni derivano da risultati di ricerche epidemiologiche e da studi preclinici. Studi di intervento con ω-3 PUFA hanno dato risultati discordati per quanto riguarda il declino cognitivo. Nel 2016 Burckhardt M e coll hanno esaminato in una metanalisi Cochrane un insieme di studi di intervento su un totale di 632 soggetti con AD lieve e moderata e concludono che non vi sono sufficienti elementi per prescrivere l’uso di ω-3 PUFA per la trattamento della demenza.

Vitamine B6, B12 e acido folico

Sulla scorta di una serie di osservazioni epidemiologiche e di dati di laboratorio anche la vit B12, B6 e l’acido folico sono stati utilizzati in studi di prevenzione e trial di intervento su soggetti con declino cognitivo clinicamente significativo. In generale, l’assunzione di integratori vitaminici, eventualmente combinati con minerali, non ha dato risultati significativi nella prevenzione primaria in popolazione generale ultrasessantenne (Rutjes AW 2018). Tuttavia, studi di intervento su gruppi selezionati di soggetti con iniziale declino cognitivo (MCI >70 anni) con livelli di omocisteina superiori a 13 μmol/L, come nel VITACOG study (Jager C, 2011 e Jernerén F, 2015), hanno invece dimostrato che la somministrazione di acido folico e vit B12 e B6 comporta una riduzione significativa dei livelli omocisteina e una riduzione del 53% della progressione della atrofia corticale, che appare più marcata in regioni che sono specificamente suscettibili di danno nella malattia di Alzheimer come il lobo temporale medio, il precuneo e il giro angolare. Parallelamente, anche il declino cognitivo nel tempo migliora. Lo studio FACIT (Durga J, 2007)è stato condotto su 818 soggetti olandesi con età media di 60 anni reclutati solo sulla base dei livelli di omocisteina moderatamente elevati (13-26 μmol/L), ma con livelli plasmatici di vit B12 nella norma. Dopo un trattamento con acido folico (0,8 mg/die) durato tre anni si è osservato che le facoltà cognitive di memoria e velocità di elaborazione dell’informazione risultavano significativamente migliori rispetto al gruppo di controllo. In conclusione, la somministrazione di vit B12, B6 e acido folico non appare giustificato nella popolazione generale non selezionata, ma le attuali evidenze riguardano solo i soggetti con livelli plasmatici di omocisteina superiori a 13 μmol/L e, nel caso sia già esordito un disturbo cognitivo, solo soggetti con malattia in fase molto iniziale (Smith AD, 2018).


I polifenoli: flavonoidi, curcuma e rasveratrolo

Sono stati studiati nel tempo una serie di sostanze di derivazione vegetale che appartengono alla famiglia dei flavonoidi (Mecocci P, 2015). Appartengono a questo gruppo le catechine e epigallocatechine (the, cacao, uva), la quercetina (capperi, mele, broccoli) la luteina, la cianidina e altri. I dati epidemiologici che hanno messo in relazione l’assunzione alimentare di the, cacao, caffe’ e altri alimenti ricchi in questi composti hanno dimostrato che hanno un ruolo protettivo nei confronti del declino cognitivo e della malattia di Alzheimer ad insorgenza tardiva. Da qui sono iniziati molti studi sia in vitro che in vivo nell’animale che hanno evidenziato effetti positivi sui processi ossidativi, sui processi che influenzano l’infiammazione e altri meccanismi coinvolti nei processi neurodegenerativi. Anche la curcumina, che è contenuta nella radice delle Curcuma longa e il rasveratrolo, che è particolarmente presente nei semi d’uva, sono molecole di grande interesse per le attività antiossidanti e antiamiloide. Tuttavia, sino ad oggi, gli studi di intervento sull’uomo sono insufficienti o negativi e quindi non vi sono elementi per raccomandare l’uso di una o più di queste sostanze con finalità terapeutiche o preventive. Le indicazioni sono limitate ad un uso di alimenti ricchi di polifenoli nella dieta.

Trattamenti con combinazione di molecole

Fortasyn Connect è il nome dato ad una formula contenente un insieme di molecole. E’ costituito da ω-3PUFA (acido decosaesaenoico e acido eicosapentaenoico) uridina monofosfato, colina, fosfolipidi, acido folico, vitamine B6, B12, C, E e selenio. Dati da studi preclinici sono concordi nell’evidenziare che specifiche combinazioni di nutrienti sono in grado di modificare la struttura sinaptica e migliorare il funzionamento attraverso meccanismi sinergici. Sono disponibili alcuni studi randomizzati controllati nell’uomo. Due studi rispettivamente con 225 e 259 pazienti affetti da demenza di Alzheimer lieve sono stati sottoposti a trattamento attivo o placebo per un totale di 12-24 mesi. In uno studio separato sono stati valutati gli effetti della somministrazione di un flacone/die su pazienti con demenza di Alzheimer lieve-moderata. Un modesto miglioramento delle facoltà di memoria è stato osservato solo nel caso di soggetti con forme lievi, ma non in soggetti con AD lieve-moderato. E’ stato quindi avviato uno studio multicentrico randomizzato in nord Europa che ha incluso 311 soggetti con AD prodromico che sono stati trattati per 24 mesi. Alla fine dell’intervento (Soininen H, 2017) non sono stati osservati effetti statisticamente significativi sui punteggi cognitivi (NTB) mentre sono stati osservati effetti migliorativi sulle misure combinate di attività cognitiva e funzionale (CDR-SB), e sul volume ippocampale. In conclusione il trattamento combinato può avere una modesta utilità preventiva in soggetti con malattia di Alzheimer in fase prodromica (MCI).

Melatonina

Pur non appartenendo ai gruppo dei nutraceutici la melatonina, che è un ormone normalmente prodotta dalla ghiandola pineale, è spesso associata a trattamenti nutraceutici con lo scopo di migliorare il ritmo sonno/veglia. L’alterazione del sonno e la riduzione dei livelli di melatonina endogena sono ritenuti avere un ruolo nel declino cognitivo e nell’accumulo di beta amiloide cerebrale. Sono stati condotti molti studi di intervento in soggetti colpiti da AD con melatonina, ma con risultati ambigui. Una metanalisi (Xu 2015) condotta su una selezione di studi controllati randomizzati che hanno incluso un totale di 511 pazienti in cui sono stati utilizzati dosaggi di melatonina da 2,5 a 10 mg/die hanno dimostrato un miglioramento significativo della durata, ma con miglioramento marginale dell’efficienza del sonno. Il trattamento non ha causato miglioramenti significativi dei punteggi ai test cognitivi. In conclusione la melatonina a dosaggi adeguati può risultare utile a migliorare il sonno nel paziente AD.