Trattamenti non farmacologici: riabilitazione ed interventi psicosociali

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Negli ultimi anni, la mancanza di terapie in grado di modificare la patogenesi del disturbo neurocognitivo, ha fortemente stimolato la comunità scientifica ad esplorare l’efficacia di interventi riabilitativi e psicosociali (genericamente definiti Trattamenti Non Farmacologici) finalizzati a ritardare il declino cognitivo e funzionale, ridurre i disturbi psicologici e comportamentali e, di conseguenza, migliorare la qualità di vita della persona malata e della sua famiglia. Gli interventi riabilitativi e psicosociali, genericamente definiti Trattamenti Non Farmacologici (TNF) comprendono diverse tipologie di intervento che possono essere rivolte, sia alla persona con disturbo neurocognitivo, sia al caregiver formale ed informale. Per quanto riguarda la persona con declino cognitivo, gli interventi possono essere indirizzati agli aspetti cognitivi, funzionali, comportamentali, psicologici, sociali, ed ambientali; per quanto riguarda il caregiver, i trattamenti si riferiscono ad interventi informativi, formativi (psicoeducazionali) e/o psicologici (sostegno o psicoterapia).

La base concettuale a supporto degli interventi riabilitativi rivolti alla persona con disturbo neurocognitivo è sostenuta da due caratteristiche del tessuto nervoso: la neuroplasticità e la ridondanza cellulare (riserva funzionale).Le ricerche scientifiche relative all’efficacia degli interventi non farmacologici evidenziano un impatto positivo sulle funzioni cognitive, sui sintomi neuropsichiatrici e sulla qualità della vita, oltre che potenziare gli effetti della terapia farmacologica. Negli ultimi vent’anni si è assistito ad un progressivo aumento degli studi randomizzati controllati, anche di alta qualità, che hanno prodotto risultati positivi (grado di evidenza A o B). È doveroso sottolineare che il concetto di riabilitazione, nel caso di patologie degenerative e progressive, necessita di alcune precisazioni.

L’obiettivo della cura non può essere, infatti, individuato nella guarigione o nel ripristino della funzione perduta bensì, nella valorizzazione delle capacità presenti, nella riduzione dell’eccesso di disabilità, nella promozione di strategie di compenso, nel miglioramento dell’interazione con l’ambiente, nel mantenimento delle autonomie funzionali, nella tutela del valore umano e sociale della persona nel proprio ambiente e con i limiti imposti dalla patologia, dal danno funzionale e dalle risorse disponibili. Tali obiettivi trovano un perfetto accordo con quanto prevede l’Organizzazione Mondiale della Sanità che definisce la “Riabilitazione” come “Quell’insieme di interventi che mirano allo sviluppo di una persona al suo più alto potenziale sotto il profilo fisico, psicologico, sociale, occupazionale ed educativo, in relazione al suo deficit fisiologico o anatomico e ambientale”. Il concetto di “riabilitazione” applicato alla persona con disturbo neurocognitivo assume dunque un significato olistico, per i domini cognitivi, psicologici, funzionali, sociali e comportamentali, su cui si deve intervenire e per gli ambiti socio-ambientali e relazionali di cui deve tener conto. Questo richiede in primis di valorizzare, riconoscere e sostenere con azioni concertate e condivise, il ruolo centrale del paziente e della sua famiglia, all’interno dei percorsi di assistenza, cura e accompagnamento, per promuovere l’autonomia, la responsabilizzazione e l’attivazione delle risorse personali. L’intervento riabilitativo non può quindi prescindere da un percorso di sostegno, comprensione e accettazione della malattia sia da parte del paziente, quando le condizioni cognitive lo permettono, sia da parte del familiare. Le azioni riabilitative sulla persona, sull’ambiente e sulla famiglia, dovranno avere come obiettivo finale quello di individuare le migliori strategie per potenziare le abilità cognitive e funzionali o rallentarne la perdita, controllare i disturbi del comportamento e così assicurare la migliore qualità di vita della persona malata e della sua famiglia, in relazione alla condizione clinica e socio-ambientale. Questo concetto di riabilitazione presuppone quindi, per sua stessa natura, che i professionisti della riabilitazione mantengano una capacità di lettura multidimensionale in quanto, il soggetto della cura non è il sintomo, ma la persona nel suo insieme biologico, fisico, cognitivo, sociale e psicologico e l’obiettivo della cura risiede nel più ampio concetto di “miglioramento della qualità della vita”. Professionisti della riabilitazione con diverse specificità (ad esempio: psicologo, terapista occupazionale, fisioterapista, logopedista, educatore) possono dunque essere contemporaneamente chiamati ad effettuare interventi che dovranno, il più possibile, essere fra loro integrati e sinergici nell’ottica della multidisciplinarietà.

In relazione alla propria specificità professionale, ogni professionista della riabilitazione utilizzerà gli strumenti di valutazione di maggiore e comprovata sensibilità ed efficacia, per pianificare l’intervento e per misurare i risultati ottenuti. Per garantire la condivisione, la tracciabilità del percorso intrapreso e le relative modificazioni, il professionista produrrà sempre una relazione di dimissioni o di accompagnamento riabilitativo contenente, oltre ai parametri della valutazione, la sintesi dell’intervento ed eventuali indicazioni semplici e chiare. Questi strumenti (valutazione e relazione di accompagnamento), consentiranno al professionista della riabilitazione di inserirsi come parte integrante all’interno del percorso diagnostico terapeutico ed assistenziale della persona con disturbo neurocognitivo, in quanto, essi rappresentano lo strumento di condivisione, integrazione e scambio di informazioni con gli altri professionisti coinvolti, con il paziente e con la famiglia, nell’ottica di un modello culturale orientato alla multidisciplinarietà.

Il sostegno psicologico al paziente

Il sostegno psicologico al paziente può essere fornito individualmente o in gruppo. Il sostegno in gruppo di pari fornisce esperienze emotive significative (non sentirsi soli con le conseguenze della malattia); interventi effettuati in gruppo di persone al primo stadio di malattia evidenziano effetti positivi sui sintomi depressivi, sulla qualità di vita e l’autostima. Alcuni studi RCT sui trattamenti psicologici, sia individuali che di gruppo, suggeriscono che questi interventi siano efficaci nel ridurre i sintomi di depressione e ansia nelle persone affette da disturbo neurocognitivo. Seppure la qualità delle evidenze sia moderata per quanto riguarda l’efficacia sulla depressione e limitata sull’ansia, questi trattamenti hanno il vantaggio, rispetto alle terapie farmacologiche, di non essere soggette ad eventi avversi e quindi utilizzabili come primo approccio o in combinazione con il farmaco. In casi selezionati, in persone in fase iniziale malattia, con buona consapevolezza e motivazione personale, è possibile instaurare un intervento psicoterapeutico per sostenere il paziente ed elaborare la diagnosi.

L’attività fisica e la riabilitazione motoria

L’esercizio fisico aspecifico praticato in modo costante, in contesti individuali o di gruppo e commisurato alle possibilità cliniche, fisiche e cognitive ed alle preferenze della persona malata, è fortemente raccomandato. L’attività motoria è stata, infatti, menzionata in un documento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 2010 in cui vengono fornite specifiche indicazioni di durata e intensità dell’esercizio fisico in relazione ad ogni fascia di età.

Nelle forme di disturbo neurocognitivo che coinvolgono il sistema extrapiramidale (es: Atrofia Multisistemica, Paralisi Sopranucleare Progressiva) o che comportano disturbi del movimento (es: Demenza con Corpi di Lewy), oppure nei pazienti che presentano particolari situazioni quali ad esempio: esiti di fratture o protesi ossee è invece indicata una specifica riabilitazione motoria.

La riabilitazione logopedica

Le difficoltà comunicativo-linguistiche sono presenti, anche se in modo diversificato, in tutte le patologie neuro-degenerative, comportano isolamento sociale, frustrazione nella persona malata e nel caregiver, sono fra le cause più frequenti di fallimento dei programmi di care e possono talvolta indurre disturbi del comportamento nel malato.

Le difficoltà che riguardano la sfera comunicativo-linguistica hanno pertanto un elevato impatto sulla qualità di vita della persona malata e dei caregiver formali ed informali. La riabilitazione precoce di questi aspetti, oltre ad avere ricadute positive trasversali a molti ambiti (sociale, cognitivo, psicologico, funzionale), fornisce strumenti che consentono alla persona malata di essere, il più a lungo possibile, “attivamente inclusa” nei contesti familiari, sociali e clinici e portatrice “diretta“ delle proprie istanze.

Nell’ambito della riabilitazione della persona affetta da disturbo neurocognitivo, la logopedia è la disciplina che si occupa della valutazione e della pianificazione-realizzazione di interventi di prevenzione e cura delle patologie che riguardano gli aspetti comunicativi, linguistici (codice orale e scritto), sensoriali, vocali e delle funzioni orali quali ad esempio:

  • Comunicopatie
  • Afasia quale conseguenza del danno neurodegenerativo con particolare riferimento all’Afasia Primaria Progressiva (APP);
  • Disartria (ad esempio quale conseguenza delle sindromi extrapiramidali);
  • Disfonia;
  • Deficit sensoriali (ipoacusia, presbiacusia);
  • Disfagia, presbifagia.

Il logopedista mediante l’utilizzo di strumenti valutativi specifici per tipologia-gravità del disturbo ed età del paziente, è dunque precocemente in grado di rilevare la presenza di difficoltà che riguardino l’ambito comunicativo-linguistico e la deglutizione, pianificare idonei interventi di prevenzione secondaria e riabilitativi e fornire indicazioni pratiche a per migliorare l’interazione comunicativa con la persona malata in ambito sociale, familiare e clinico.

L’intervento logopedico coinvolge i familiari o i caregiver di riferimento, può essere diretto (sulla persona malata) o indiretto (sul caregiver formale ed informale), individuale o in gruppo, erogato nell’ambulatorio dedicato, oppure in contesti maggiormente ecologici come, ad esempio, il domicilio del paziente. La riabilitazione logopedica può essere erogata anche da remoto, mediante i più diffusi sistemi di videochiamata e può avvalersi di ausili tecnologici (es: computer, tablet, comunicatori).

Un ambito che merita particolare attenzione riguarda i disturbi della deglutizione. La disfagia si accompagna molto spesso al disturbo neurocognitivo e colpisce un altissimo numero di individui in età geriatrica, può essere causa di complicanze significative che si ripercuotono sulla salute e sulla qualità di vita di chi ne è affetto e di chi lo circonda. Prevenzione primaria e secondaria, diagnosi corretta e riabilitazione precoce della disfagia consentono di ridurre rischi, primo fra tutti la malnutrizione e di mantenere una deglutizione funzionale il più a lungo possibile. Il valore edonistico dell´alimentazione, nella persona malata, va inoltre il più possibile preservato anche per i risvolti motivazionali e di inclusione sociale che esso comporta.

Gli interventi di terapia occupazionale

L’intervento di terapia occupazionale si rivolge sia alla persona con disturbo neurocognitivo, sia al caregiver. È possibile che alcune sedute dell’intervento si rivolgano solo al paziente o solo al caregiver, ma la forza dell’intervento di terapia occupazionale sta nel far confluire le esigenze di entrambi, nell’accompagnare la persona con disturbo neurocognitivo a svolgere attività significative, incentivando il suo senso di autostima e di efficacia individuale e il senso di competenza del caregiver.

Il programma del trattamento è personalizzato e basato sulle specifiche esigenze, capacità, interessi, educazione e background occupazionale del singolo individuo.

Per ottenere un buon risultato è opportuno che il terapista lavori in sinergia con la persona, la sua famiglia e gli altri operatori.

Nella valutazione della persona con disturbo neurocognitivo e del caregiver si andranno a considerare i seguenti aspetti:

Valutazione della persona con Disturbo Neurocognitivo
  • Bisogni personali
  • Autonomia nelle attività quotidiane (alimentarsi, vestirsi, lavarsi, ecc.)
  • Funzioni cognitive (memoria, attenzione, ecc.)
  • Aspetto comportamentale (depressione, ansia)
  • Ambiente (necessità di adattamenti, ausili, ecc.)
Valutazione del caregiver
  • Aspetti comunicativi
  • Organizzazione della giornata

Le finalità della terapia occupazionale sono:

  • Accrescimento dell’autostima e della motivazione
  • Migliorare comunicazione persona/famiglia/ambiente
  • Migliorare/mantenere autonomia nella vita quotidiana garantendo la miglior qualità possibile
  • Contenere i comportamenti problematici
  • Educare i caregiver a rapportarsi con il familiare/utente
  • Addestrare e all’utilizzo dei vari ausili
  • Stimolare le abilità funzionali residue
  • Stabilizzare o rallentare l’evoluzione della disabilità
  • Compensare i disturbi di memoria e disorientamento
  • Aumentare la sicurezza fisica dell’assistito
  • Contribuire alla gestione dei disturbi cognitivi
  • Mettere a punto strategie di compenso (per attenzione, memoria, abilità di organizzazione ecc.).

La terapia occupazionale può essere attuata sia a domicilio del paziente (programma di Community Occupational Therapy in Dementia), sia presso centri sollievo, centri diurni, RSA, nuclei Alzheimer.

I trattamenti orientati alla cognitività

I “Trattamenti orientati alla cognitività”, si riferiscono a diverse tipologie di intervento che coinvolgono gli aspetti cognitivi con vari gradi di ampiezza e profondità; hanno come obiettivo comune il miglioramento o il mantenimento delle funzioni cognitive e degli aspetti funzionali legati alle attività di vita quotidiana. Gli interventi cognitivi vengono distinti in tre diverse tipologie: il Training Cognitivo, la Riabilitazione Cognitiva e la Stimolazione Cognitiva. Questi tre approcci, pur avendo alcune caratteristiche comuni, si differenziano per i presupposti teorici di base, per i contesti in cui vengono applicati e per il tipo di popolazione a cui sono destinati. Nonostante in letteratura vi sia la disponibilità di ampie descrizioni e definizioni, il Training Cognitivo, la Riabilitazione Cognitiva e la Stimolazione Cognitiva, sono talvolta erroneamente descritti in modo intercambiabile.

Gli interventi orientati alla sfera emotivo-comportamentale

Alcuni interventi psicosociali sono maggiormente orientati alla sfera emotivo comportamentale e maggiormente indicati nelle fasi moderate e severe della malattia. Nella tabella sottostante se ne descrivono brevemente alcuni esempi.

Interventi ambientali ed ambiente protesico

È ampiamente dimostrato il ruolo positivo dell’ambiente nel favorire il benessere e l’autonomia della persona malata. L’approccio cosiddetto “protesico” prevede che l’ambiente, inteso come spazio fisico (domicilio o luoghi della cura), persone e attività, sia adattato in base alle esigenze del malato. A partire dalle prime fasi della malattia, un opportuno e progressivo adattamento ambientale può compensare i deficit cognitivi, sensoriali, percettivi, prassici, motori e ridurre i disturbi legati alla sfera comportamentale. L’ambiente protesico è pensato per garantire la sicurezza ed il comfort e per tutelare e preservare il più a lungo possibile la capacità di scegliere, decidere ed agire della persona malata. Il Metodo Gentlecare (ideato dalla dottoressa Moyra Jones) è uno fra gli approcci protesici più noti e diffusi. Sia nell’ambiente domestico, sia nei luoghi della cura, l’adattamento ambientale consente di ottenere un duplice obiettivo: da un lato permette di valorizzare le risorse della persona consentendole di intraprendere o mantenere attività gradite e relazioni significative, dall’altro, permette di migliorare lo stile assistenziale da parte dei caregiver. La valutazione dell’assetto ambientale spetta a personale qualificato, la pianificazione dell’intervento viene realizzata tenendo conto delle esigenze, preferenze e storia di vita della persona.

Le tecnologie assistive

La definizione di Assistive Technology (AT) non è univoca e si è evoluta nel tempo in base alla nascita dell’International Classification of Functioning (ICF), all’investimento della Comunità Europea nell’ambito di Information and Communication Technologies (ICT ), all’evoluzione del mondo informatico e alla caratterizzazione delle figure professionali che utilizzano tali soluzioni. Si utilizzerà il termine AT come un termine ombrello (WHO, 2004) con il significato più comunemente attribuito al termine “dispositivi di tecnologie assistive”, come definito dall’United States of America’s Assistive Technology ACT (USA Congress, 2004) e accolto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) nel World Report on Disability.

La definizione è: “Qualunque oggetto, parte di equipaggiamento o sistema, se acquisito commercialmente, modificato o personalizzato che venga utilizzato per aumentare, mantenere o migliorare le capacità funzionali degli individui con disabilità” (WHO e Word Bank, 2011).

La tecnologia assistiva può essere quindi di aiuto sia alla persona affetta da un disturbo neurocognitivo e sia ai familiari o alle persone che la assistono (Novilunio, 2014). A seconda dell’ambito di intervento ogni tecnologia può svolgere una o più delle seguenti funzioni:

  • Promuovere l’indipendenza, sia di chi soffre di un disturbo neurocognitivo che di chi lo assiste o vive sotto lo stesso tetto
  • Evitare incidenti dentro e fuori casa (cadute, incendi, fughe di gas, disorientamento spazio-temporale, ecc)
  • Ritardare il ricovero in ospedale o presso centri residenziali (conservare autonomia e monitoraggio dei parametri vitali)
  • Ridurre lo stress e l’impegno di assistenza dei caregiver
  • Migliorare la qualità della vita della persona e dei suoi familiari (reminder, domotica ambientale, teleassistenza, ecc).

La valutazione in ambito tecnologico, oltre agli specialisti formati, spetta in primo luogo alla persona che lo userà. La scelta di un nuovo ausilio è un passo che incide profondamente sulla propria vita: può imporre modalità diverse di svolgere certe attività quotidiane o di relazionarsi con gli altri; può incidere sulla propria immagine di sé; può richiedere una riorganizzazione dell’ambiente domestico, della vita familiare e del supporto assistenziale; impone cioè modifiche al proprio stile di vita (Andrich, 2004). Sono questi aspetti che non vanno sottovalutati: se non si tiene conto dei punti di vista – sia espressi che inespressi – dell’utente, dell’atteggiamento di quest’ultimo verso la tecnologia, dell’ambiente ove essa verrà utilizzata, l’ausilio potrà risultare inefficace e verrà probabilmente abbandonato.

Gli interventi rivolti al familiare

Gli interventi rivolti ai familiari possono essere di tipo informativo, formativo e di sostegno; questi tipi di intervento possono essere combinati tra loro e possono essere effettuati sia individualmente che in gruppo. Gli interventi di gruppo permettono il confronto con altri familiari, possibilità di socializzare e di condividere nuove soluzioni. Gli interventi informativi illustrano le diverse diagnosi neurodegenerative e la loro evoluzione nel tempo, soffermandosi sui diversi stadi di malattia, sui sintomi cardine (ad esempio deficit di memoria nella malattia di Alzheimer) e sui disturbi comportamentali. Alcuni disturbi comportamentali possono esordire già nelle primissime fasi di malattia (ad esempio depressione, ansia, aggressività) altri sono tipici di fasi avanzate (ad esempio deliri e stereotipie). La partecipazione di caregiver, familiari e amici agli interventi formativi, rende questi ultimi maggiormente curiosi verso la malattia e più inclini ad accettare i cambiamenti del malato, cambiamenti che possono attribuire alla malattia e non più alla persona. Gli interventi formativi pongono maggiore enfasi sullo stile di coping: aiutano i familiari a non farsi travolgere dall’emotività e convogliano le loro energie nella ricerca di strategie e soluzioni delle problematiche della malattia. Gli interventi di sostegno sono invece maggiormente centrati sul vissuto emotivo dei familiari: i sentimenti positivi e negativi vengono accolti, contestualizzati e rielaborati. In questi anni si è assistito al passaggio da un modello di intervento centrato sull’informazione ad un modello centrato sulla persona che ha modificato l’impostazione degli interventi che risultano pertanto sempre più ritagliati sulle specifiche necessità dei familiari. Gli interventi individuali, ritagliati su misura, sembrerebbero particolarmente efficaci nel ridurre il burden dei caregiver, e dovrebbero aiutarli a mantenere il benessere mentale, incoraggiarli a partecipare a programmi di supporto e ad apprendere appropriate strategie di coping. La partecipazione ai gruppi di supporto sia del familiare che del paziente, in alcuni casi ha permesso a questi di affrontare più facilmente alcuni temi (ad es. quelli legali) in quanto introdotti dal personale di cura. La modalità di erogazione di tali servizi può avvenire “in sede” oppure avvalersi di modalità “online” quali consultazioni telefoniche, riunioni tramite skipe/web, che negli ultimi anni hanno visto una crescente diffusione e che necessitano di un riconoscimento formale in quanto prestazioni specialistiche.

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