Le scelte di fine vita, alimentazione artificiale e idratazione
Nelle fasi di malattia avanzata e prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte la legge prevede che “il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati”.
È importante sottolineare che la diagnosi di demenza (come ogni diagnosi di malattia) è un dato oggettivo, clinico, basato su dati biologici. Al contrario, per la definizione di terminalità, i dati puramente biologici sono necessari ma non sempre sufficienti, dovendo essere necessariamente integrati con il dato biografico del progetto di vita e di cura della persona malata. L’ennesima infezione respiratoria o urinaria in una persona con demenza e sindrome da allettamento può essere considerata un evento terminale e come tale portare ad un approccio palliativo, oppure al contrario essere considerato un accidente intercorrente e quindi trattato in modo invasivo: in entrambi i casi, la definizione di terminalità o meno, sarà un una sorta di “self-fulfilling prophecy” dato che l’esito sarà conseguenza dell’approccio di cura intrapreso. Per questo è fondamentale una tempestiva pianificazione condivisa del percorso di cura, che porti alla definizione del percorso stesso, stabilendo per ogni fase della patologia – e soprattutto per la fase terminale – il "chi fa cosa.” In questo modo, non si avranno urgenze o emergenze nelle quali improvvisare decisioni spesso difficili, ma un progetto di cura chiaro e condiviso che rispetta i desideri e la dignità della persona. A tal proposito va sottolineato che, in ogni fase di malattia, “il medico non intraprenda né insista in procedure diagnostiche e interventi terapeutici clinicamente inappropriati ed eticamente non proporzionati, dai quali non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualità della vita.” In altre parole, un trattamento, per essere legittimo ed eticamente corretto, deve essere sia adeguato che proporzionato: altrimenti esso risulterà contrario all’etica, ai codici deontologici delle professioni sanitarie, alla convenzione di Oviedo.
Nutrizione e demenza
I disturbi dell’alimentazione sono comuni manifestazioni della demenza. La difficoltà a deglutire, la diminuzione dell’appetito, talora secondaria al ridotto fabbisogno calorico, sono di frequente riscontro, soprattutto in fase avanzata. La prevalenza dei disturbi della alimentazione varia dal 13% al 86% e aumenta con la progressione della malattia. Nel recente passato, nelle persone con malattia in fase avanzata veniva posta indicazione alla nutrizione enterale tramite sonda naso-gastrica o gastrostomia percutanea (PEG).
La decisione di iniziare la nutrizione/idratazione artificiale della persona con demenza avanzata è particolarmente critica per il medico e sotto il profilo emotivo per i familiari e per chi assiste il malato. In letteratura sono poche le evidenze che la nutrizione artificiale riduca il rischio di polmonite da aspirazione, prolunghi la vita o migliori lo stato di nutrizione o la qualità della vita. Le più importanti Associazioni medico scientifiche sono concordi nel non raccomandare la nutrizione artificiale nei pazienti con demenza avanzata. Nonostante ciò tale metodica è ancora utilizzata, sia per le pressioni di chi si prende cura e sia per la scarsa conoscenza dei medici dei reali effetti della nutrizione artificiale in questi pazienti.
La nutrizione, anche se artificiale, ha per i familiari un valore simbolico che va oltre i reali e misurabili benefici. I familiari sono angosciati dall’idea che il loro caro soffra la fame e la sete e garantire il cibo e aiutarli nell’alimentarsi è spesso un mezzo per evidenziare il loro interessamento . Questi sentimenti spesso espressi dai familiari devono essere capiti e rispettati come valori, siano essi religiosi o culturali. Il medico deve saper rappresentare ai familiari le condizioni della persona che sta giungendo alla fine del suo percorso di malattia, e quindi la prognosi, spiegare che l’incapacità di bere e mangiare è un aspetto naturale della terminalità e orientare verso cure palliative che privilegino semplici gesti umani rispettosi della naturalità della morte come imboccare la persona con prudenza o inumidire le sue labbra.
Altro aspetto assolutamente da evitare è intraprendere la nutrizione artificiale per mera convenienza pratica o organizzativa, dovuta alla mancanza di tempo per aiutare la persona ad alimentarsi o alla riduzione dei costi assistenziali.
La nutrizione artificiale è indicata nel paziente con demenza quando comporta reali benefici congrui alla volontà ed al progetto di vita della persona senza prolungare la sofferenza ed evitando comunque trattamenti sproporzionati .
Nutrizione artificiale e anche la sola idratazione come ribadito dalla Legge 219/2017, trattandosi di “trattamenti sanitari in quanto somministrazione su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici” e, come ogni altro intervento sanitario, non possono essere valutati limitatamente all’effetto biologico, ma sulla effettiva utilità per quella persona, intesa nella sua globalità, nel rispetto della sua dignità, che va promossa con particolare attenzione alle fasi della vita in cui è più vulnerabile.
In conclusione, di fronte ad una persona che non è più in grado di alimentarsi per via naturale, l’obiettivo principale è definire quali sono le scelte e le conseguenti azioni che possano meglio promuovere la dignità e gli interessi del malato, nel rispetto del suo progetto di vita e nel riconoscimento dei naturali limiti dell’esistenza umana.